Alfredo Panzini amò Bellaria e i bellariesi e li raccontò all'Italia e al mondo in alcune delle sue famose opere. Nato l’ultima ora dell’ultimo giorno dell’anno 1863, a Senigallia, Panzini, ai suoi natali marchigiani, non attribuirà altro che una valenza meramente burocratica. Cresciuto in un clima familiare non particolarmente sereno, dedicherà la sua vita prima allo studio e poi all’insegnamento, ottenendo successi e riconoscimenti.
Dopo quaranta anni di carriera, si guadagna la meritata "pensione" che gli consente di dedicare buona parte dell’anno alla cura dei poderi acquistati nelle vicinanze della sua residenza estiva a Bellaria. Con l’acquisto di questi appezzamenti, Panzini realizza una delle sue principali aspirazioni, lui che aveva sempre ritenuto la “terra” il bene più prezioso, sicuro e nobile che un uomo potesse desiderare.
Bellaria diventa per Panzini una piccola patria in cui mettere radici per ritrovare un appiglio solido in mezzo allo scompiglio generale dei mutamenti sociali indotti nella sua epoca dalla modernizzazione. E la Casa Rossa assume subito i tratti di una dimora "anti-intellettuale": un cubo di mattoni in cima a una duna di sabbia, esposta al vento del mare e al rumore della ferrovia, solida ma aperta agli spazi della fuga: il mare il treno, la strada, la bicicletta.
Questa casa, acquistata nel 1906 coi primi proventi letterari, diventerà per Panzini un luogo di rifugio ma anche un osservatorio privilegiato. Da qui egli segue le trasformazioni del mondo, da qui egli osserva, irridendoli, i nuovi riti della borghesia e delle classi sociali emergenti.
La Casa Rossa, restaurata nel 2006, è oggi una casa museo accessibile al pubblico. Fra i suoi beni più preziosi si annovera l'archivio dello scrittore, oggi in fase di catalogazione presso la biblioteca "A. Panzini".